9 Quivi la fama, a cui nulla s’asconde,
Penetrando, apportò che Costantino
Il seggio imperïal volea dall’onde
Del Tebro trasferir presso all’Eusino.
Alla Sibilla fûr poco gioconde
Queste novelle, che ’l fiero destino
Antivedea che a Roma dal partire
Del stolto imperator dovea seguire. 10 E perchè avea per le bell’opre antiche
De’ Cesari e de’ Scipi e de’ Marcelli,
Le voglie ancor, com’ebbe sempre, amiche
All’alto imperio che sì accrebber quelli;
Va discorrendo come rompa o intriche
Le fila ordite, e, in somma, far vedelli
Disegna le ruine e i gravi danni
Che avea Italia a patir nei futuri anni. 11 E vie più che dell’altra Italia tutta,
La gran città del mondo allor regina;
Che molte e molte volte a patir brutta
E fiera strage avrà, danno e ruina:
Ch’ora sarà da Vandali distrutta,
Or da Goti, or da gente saracina,
Or dagli Unni, e molt’altri popol empi
De’ quali il nome oscuro era in quei tempi. 12 Il dotto e savio cherco, da cui detta
Mi fu l’istoria (che ben n’era instrutto),
Dicea che la Sibilla, acciò perfetta
Notizia avesse Costantin del tutto,
Fece dodici scudi far in fretta,
In ciascun delli quali avea ridutto
Lo spazio di cent’anni: io voglio dire
Ciò che in cent’anni Italia avea a patire. 13 Fra mille e dugent’anni ciò che debbe
Patir l’Italia, ne’ dodici scudi
Dipinse la Sibilla, a cui ne ’ncrebbe,
E tutta v’adoprò l’arti e gli studi:
E poi che al bel lavor dato fin ebbe,
Rimosse i fuochi e i martelli e le incudi,
Dove sudâr Vulcani e Piragmoni,
Steropi e Bronti, e cento altri demonî. 14 Gli scudi un giorno, senza comparire
Il portator, sospesi in Roma al muro