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canto quinto. | 119 |
Ch’egli a cavallo e ch’Olivier sia a piede,
Arresta un’altra lancia, e ’n mezzo il petto
A tutta briglia il paladino fiede;
E lo riversa sì, che dell’elmetto
Una percossa grande al terren diede:
Tosto ch’in terra fu, sentì levarsi
L’elmo dal capo, e non potere aitarsi.
86 Chè gli son più di venti addosso a un tratto,
Sulle gambe, sul petto e sulle braccia;
E più di mille un cerchio gli hanno fatto:
Altri il percuote ed altri lo minaccia;
Chi la spada di mano, chi gli ha tratto
Dal collo il scudo, e chi l’altre arme slaccia.
Al duca di Sansogna al fin si rende,
Che lo manda prigione alle sue tende.
87 Se non tenea Olivier, quando avea ancora
L’arme e la spada, la sua gente in schiera,
Come fermarla e come volgerl’ora
Potrà, che disarmato e prigion era?
Fuggesi l’antiguardia, ed apre e fora
L’altra battaglia, e l’urta in tal maniera,
Che, confondendo ogni ordine, ogni metro,1
Seco la volge e seco porta indietro.
88 E perchè Praga è lor dopo le spalle,
I fiumi a canto e gli Alemanni a fronte,
Non sanno ove trovar sicuro calle,
Se non a destra, ov’era fatto il ponte;
E però a quella via sgombran la valle
Con li pedoni i cavalieri a monte:
Ma non riesce, perchè già re Carlo
Preso avea il passo e non volea lor darlo.
89 Carlo, che vede scompigliata e sciolta
Venir sua gente in fuga manifesta,
La via del ponte gli ha súbito tolta,
Perchè ritorni, o ch’ivi faccia testa:
Nè vi può far però ripar, chè molta
L’arme abbandona e di fuggir non resta;
E qualcun, per la tema che l’affretta,
Lascia la ripa e nel fiume si getta.
- ↑ Esempio notabile, e da aggiungersi a quello di Dante, Purg., XVII, 51.