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104 i cinque canti.

Se Dio, che salva chi in lui pon speranza,
Non gli avesse al bisogno provveduto
D’un improvviso e non sperato ajuto.

14 E non poteron sì l’insidie astute,
L’arte e l’ingan del traditor crudele,
Che non potesse più chi per salute
Nostra morendo, volse bere il fêle:
Gano le ordì, ma al fin1 l’Alta virtute
Fece in danno di lui tesser le tele;
Lo fe da Bradamante e da Marfisa
Metter prigione, e detto v’ho in che guisa.

15 Quelle gli avean già ritrovato addosso
Lettere e contrassegni e una patente,
Per le quali apparea che Gano mosso
Non s’era a tôr Marsilia di sua mente,
Ma che venuto il male era dall’osso;
Carlo n’era cagion principalmente:
E vider scritto quel ch’in mare appresso
Per distrugger Ruggier s’era commesso.

16 E leggendo, Marfisa vi trovoro
E Ruggier traditori esser nomati,
Perchè, partiti dalle guardie loro,
In favor di Rinaldo erano andati;
E per questo ribelli ai Gigli d’oro
Eran per tutto il regno divulgati;
E Carlo avea lor dietro messo taglia,
Sperando averli in man senza battaglia.

17 Marfisa, che sapea ch’alcun errore,
Nè suo nè del fratello, era precorso,
Per qual dovesse Carlo imperatore
Contr’essi in sì grand’ira esser trascorso;
Di giusto sdegno in modo arse nel core,
Che, quanto ir si potea di maggior corso,
Correr pensò in Boemia e uccider Carlo,
Che non potrían suoi Paladin vietarlo.

18 E ne parlò con Bradamante, e appresso
Col Selvaggio Guidon, ch’ivi era allora;
Chè a Mont’Alban gli avea il fratel commesso
Che vi dovesse far tanta dimora,
Che Malagigi, come avea promesso,


  1. Il Barotti: «Gano ordì, ma nel fin.»