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98 | i cinque canti. |
85 Intanto gli altri dui con studio grande,
Cercavan di far vezzi al novell’oste.
Di varî pesci varie le vivande
Arrosto e lesso al foco erano poste.
Poco innanzi, un navilio dalle bande
Di Vinegia, spezzato nelle coste,
La balena s’avea cacciato sotto,
E tratto in ventre in molti pezzi rotto;
86 E le botti e le casse e li fardelli
Tutti nel ventre ingordo erano entrati.
I naviganti soli coi battelli
Ai legni di conserva eran campati;
Sì che v’è da far foco, e nei piattelli
Da condir buoni cibi e delicati
Con zucchero e con spezie; ed avean vini
E côrsi e grechi, prezïosi e fini.
87 Passavano pochi anni, ch’una o due
Volte non si rompesson legni quivi;
Donde i prigion per le bisogne sue
Cibi traean da mantenersi vivi.
Poser la cena, come cotta fue.
S’avesson pane o se ne fosson privi,
Non so dir certo: ben scrive Turpino,
Che sotto il gorgozzule era un molino,
88 Che con l’acque ch’entravan per la bocca
Del mostro, il grano macinava a scosse,
Il quale o in barca o in caravella o in cocca
Rotta, là dentro ritrovato fosse.
D’una fontana similmente tocca,
Ch’a ridirla le guance mi fa rosse:
Lo scrive pure, ed il miracol copre
Dicendo ch’eran tutte magich’opre.
89 Non l’afferm’io per certo nè lo niego:
Se pane ebbono o no, lo seppon essi.
Li dui fedèl, de’ dui infedeli al prego,
Fêr punto ai salmi, e a tavola son messi.
Ma di Astolfo e Ruggier più non vi sego:1
Diròvvi un’altra volta i lor successi.