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canto quarto. 91

Di più famiglia che la lor,1 capace,
Dove su bene asciutta alga marina
Nei canti alcun comodo letto giace.
Tengono in mezzo il foco la cucina;2
Chè fatto avea l’artefice sagace,
Che per lungo condutto di fuor esce
Il fumo, ai luoghi onde sospira il pesce.

52 Tosto che pon Ruggier là dentro il piede,
Vi riconosce Astolfo paladino,
Che mal contento in un dei letti siede,
Tra sè piangendo il suo fiero destino.
Lo corre ad abbracciar, come lo vede:
Gli leva Astolfo incontra il viso chino:
E come lui Ruggier esser conosce,
Rinnôva i pianti, e fa maggior l’angosce.

53 Poi che piangendo all’abbracciar più d’una
E di due volte ritornati furo,
L’un l’altro dimandò da qual fortuna
Fosson dannati in quel gran ventre oscuro.
Ruggier narrò quel ch’io v’ho già dell’una
E l’altra armata detto, il caso oscuro,
E di Riccardo senza fin si dolse;
Astolfo poi così la lingua sciolse:

54 — Dal mio peccato (chè accusar non voglio
La mia fortuna) questo mal mi avviene.
Tu di Riccardo, io sol di me mi doglio:
Tu pati a torto, io con ragion le pene.
Ma, per aprirti chiaramente il foglio,
Sì che l’istoria mia si vegga bene,
Tu dêi saper che non son molti mesi
Ch’andai di Francia a riveder mie’ Inglesi.

55 Quivi, per chiari e replicati avvisi,
Essendo più che certo della guerra
Che ’l re di Danismarca e i Daci e i Frisi
Apparecchiato avean contra Inghilterra;
Ove il bisogno era maggior mi misi,
Per lor vietare il dismontare in terra,


  1. Cioè dei quattro che allora si trovano entro la balena.
  2. Iperbato, come osservò il Barotti, per dire: in mezzo la cucina tengono il fuoco. È probabile che, non volendo far verso troppo prosaico, come sarebbe «Tengono il fuoco in mezzo ec.,» l’Ariosto scrivesse, o avrebbe scritto limando: «Tengono in mezzo il fuoco alla cucina.»