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82 i cinque canti.

O che giù al petto o almen che a’ denti vada,
O che faccia del busto il capo esterno,1
O che sparga cervella o che triti ossa,
Convien che uccida sempre ogni percossa.

7 Duo ne partì fra la cintura e l’anche;
Restâr le gambe in sella e cadde il busto:
Dalla cima del capo un divise anche
Fin sull’arcion, che andò in due pezzi giusto:
Tre ferì sulle spalle o destre o manche;
E tre volte uscì il colpo acre e robusto
Sotto la poppa dal contrario lato:
Dieci passò dall’uno all’altro lato.

8 Lungo saría voler tutti li colpi
Della spada crudel, dritti e riversi,
Quanti ne sveni, quanti snervi e spolpi,
Quanti ne tronchi e fenda, porre in versi.
Chi fia che Lupo di viltade incolpi,
E gli altri in fuga appresso a lui conversi,
Poi che dal brando che gli uccide e strugge,
Difender non si può se non chi fugge?

9 Creduto avea la figlia di Beatrice
D’esser venuta a far quivi battaglia,
E si ritrova giunta spettatrice
Di quanto in armi la cognata vaglia:
Che non è alcun del numero infelice,
Che a lei s’accosti pur, non che l’assaglia;
Chè fan pur troppo, senza altri assalire,
Se pôn, volgendo il dosso, indi fuggire.

10 D’ogni salute or disperato Gano,
Di corvi e d’avoltor ben si vede esca;
Che, poi che questo ajuto è stato vano,
Altro non sa veder che gli riesca.
Lo trasser le cognate a Mont’Albano,
Che più che morte par che gli rincresca;
E fin ch’altro di lui s’abbia a disporre,
Lo fan calar nel piè giù d’una torre.

11 Ruggiero, intanto, al suo vïaggio intento,
Ch’ancor nulla sapea di questo caso,
Cercando or l’orza ed or la poggia al vento,


  1. Esterno; cioè separato, disgiunto. L’usò il Poeta in questo senso anche nella st. 38 di questo canto. — (Molini.)