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canto terzo. | 75 |
E ferito aspramente il mette a terra.
86 Passò lo scudo, la corazza e il petto;
E se l’asta a lo scontro era più forte,
Gli saría dietro apparso il ferro netto,
Nè data fôra mai più degna morte.
Pur giacer gli conviene a suo dispetto,
Nè quindi si può tôr, ch’altri nol porte:
Orlando il lassa in terra e più nol mira,
Vôlta il cavallo e Durindana aggira.
87 Le braccia ad altri, ad altri il capo taglia;
Chi fino a’ denti e chi più basso fende;
Chi nella gola e chi nell’anguinaglia,
Chi forato nel petto in terra stende.
Non molto in lungo va quella battaglia,
Chè tutta l’altra turba a fuggir prende:
Li caccia Orlando quasi mezza lega,
Indi ritorna e la cugina slega.
88 La quale, eccetto l’elmo e il scudo1 e il brando,
Tutto il resto dell’arme ritenea;
Chè Gano, per alzar sua gloria, quando
Non più ch’una donzella presa avea,
Pensò, avendola armata, ir dimostrando
Che ’l medesimo onor se gli dovea,
Che ad Ercole e Teseo gli antichi dênno
Di quel che a Termodonte in Scizia fenno.2
89 Orlando, che non volse conosciuto
Esser d’alcuno, indi accusato a Carlo;
E per ciò con un scudo era venuto
D’un sol color, che fece in fretta farlo;
Andò là dove Gano era caduto,
E prima l’elmo, senza salutarlo,
E dopo il scudo e la spada gli trasse,
E volse che la donna se n’armasse.
90 Poi se n’andò fin che a Mattafellone,
Il buon destrier di Gan, prese la briglia,
E ritornando fece nell’arcione
Salir d’Amon la liberata figlia;
Nè, per non dar dà sè cognizïone,
Levò mai la visiera dalle ciglia: