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56 canto


88
     ch’ogni sua stanza avea piena di velli
di lin, di seta, di coton, di lana,
tinti in varii colori e brutti e belli.
Nel primo chiostro una femina cana
fila a un aspo traea da tutti quelli,
come veggián l’estate la villana
traer dai bachi le bagnate spoglie,
quando la nuova seta si raccoglie.

89
     V’è chi, finito un vello, rimettendo
ne viene un altro, e chi ne porta altronde:
un’altra de le filze va scegliendo
il bel dal brutto che quella confonde.
— Che lavor si fa qui, ch’io non l’intendo? —
dice a Giovanni Astolfo; e quel risponde:
— Le vecchie son le Parche, che con tali
stami filano vite a voi mortali.

90
     Quanto dura un de’ velli, tanto dura
l’umana vita, e non di piú un momento.
Qui tien l’occhio e la Morte e la Natura,
per saper l’ora ch’un debba esser spento.
Sceglier le belle fila ha l’altra cura,
perché si tesson poi per ornamento
del paradiso; e dei piú brutti stami
si fan per li dannati aspri legami. —

91
     Di tutti i velli ch’erano giá messi
in aspo, e scelti a farne altro lavoro,
erano in brevi piastre i nomi impressi,
altri di ferro, altri d’argento o d’oro:
e poi fatti n’avean cumuli spessi,
de’ quali, senza mai farvi ristoro,
portarne via non si vedea mai stanco
un vecchio, e ritornar sempre per anco.