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CANTO TRENTESIMOQUARTO
1
Oh famelice, inique e fiere arpie
ch’all’accecata Italia e d’error piena,
per punir forse antique colpe rie,
in ogni mensa alto giudicio mena!
Innocenti fanciulli e madri pie
cascan di fame, e veggon ch’una cena
di questi mostri rei tutto divora
ciò che del viver lor sostegno fôra.
2
Troppo fallò chi le spelonche aperse,
che giá molt’anni erano state chiuse;
onde il fetore e l’ingordigia emerse,
ch’ad ammorbare Italia si diffuse.
Il bel vivere allora si summerse;
e la quïete in tal modo s’escluse,
ch’in guerre, in povertá sempre e in affanni
è dopo stata, et è per star molt’anni:
3
fin ch’ella un giorno ai neghitosi figli
scuota la chioma, e cacci fuor di Lete,
gridando lor: — Non fia chi rassimigli
alla virtú di Calai e di Zete?
che le mense dal puzzo e dagli artigli
liberi, e torni a lor mondizia liete,
come essi giá quelle di Fineo, e dopo
fe’ il paladin quelle del re etïopo. —