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392 canto


136
     Come talvolta, ove si cava l’oro
lá tra’ Pannoni o ne le mine ibere,
se improvisa ruina su coloro
che vi condusse empia avarizia, fere,
ne restano sí oppressi, che può il loro
spirto a pena, onde uscire, adito avere:
cosí fu il Saracin non meno oppresso
dal vincitor, tosto ch’in terra messo.

137
     Alla vista de l’elmo gli appresenta
la punta del pugnal ch’avea giá tratto;
e che si renda, minacciando, tenta,
e di lasciarlo vivo gli fa patto.
Ma quel, che di morir manco paventa,
che di mostrar viltade a un minimo atto,
si torce e scuote, e per por lui di sotto
mette ogni suo vigor, né gli fa motto.

138
     Come mastin sotto il feroce alano
che fissi i denti ne la gola gli abbia,
molto s’affanna e si dibatte invano
con occhi ardenti e con spumose labbia,
e non può uscire al predator di mano,
che vince di vigor, non giá di rabbia:
cosí falla al pagano ogni pensiero
d’uscir di sotto al vincitor Ruggiero.

139
     Pur si torce e dibatte sí, che viene
ad espedirsi col braccio migliore;
e con la destra man che ’l pugnal tiene,
che trasse anch’egli in quel contrasto fuore,
tenta ferir Ruggier sotto le rene:
ma il giovene s’accorse de l’errore
in che potea cader, per differire
di far quel empio Saracin morire.