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quel Costantin di cui doler si debbe
la bella Italia, fin che giri il cielo.
Costantin, poi che ’l Tevero gl’increbbe,
portò in Bisanzio il prezïoso velo:
da un altro Costantin Melissa l’ebbe.
Oro le corde, avorio era lo stelo;
tutto trapunto con figure belle,
piú che mai con pennel facesse Apelle.
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Quivi le Grazie in abito giocondo
una regina aiutavano al parto:
sí bello infante n’apparia, che ’l mondo
non ebbe un tal dal secol primo al quarto.
Vedeasi Iove, e Mercurio facondo,
Venere e Marte, che l’aveano sparto
a man piene e spargean d’eterei fiori,
di dolce ambrosia e di celesti odori.
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Ippolito diceva una scrittura
sopra le fasce in lettere minute.
In etá poi piú ferma l’Aventura
l’avea per mano, e inanzi era Virtute.
Mostrava nòve genti la pittura
con veste e chiome lunghe, che venute
a domandar da parte di Corvino
erano al padre il tenero bambino.
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Da Ercole partirsi riverente
si vede, e da la madre Leonora;
e venir sul Danubio, ove la gente
corre a vederlo, e come un Dio l’adora.
Vedesi il re degli Ungari prudente,
che ’l maturo sapere ammira e onora
in non matura etá tenera e molle,
e sopra tutti i suoi baron l’estolle.