Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. III, 1928 – BEIC 1739118.djvu/296

290 canto


156
     E parea dir: — Pur hammi il signor mio
commesso ch’io la faccia tutta nera:
or perché dunque riccamata holl’io
contra sua voglia in sí strana maniera? —
Di questo sogno fe’ giudicio rio;
poi la novella giunse quella sera:
ma tanto Astolfo ascosa le la tenne,
ch’a lei con Sansonetto se ne venne.

157
     Tosto ch’entraro, e ch’ella loro il viso
vide di gaudio in tal vittoria privo;
senz’altro annunzio sa, senz’altro avviso,
che Brandimarte suo non è piú vivo.
Di ciò le resta il cor cosí conquiso,
e cosí gli occhi hanno la luce a schivo,
e cosí ogn’altro senso se le serra,
che come morta andar si lascia in terra.

156
     Al tornar de lo spirto, ella alle chiome
caccia le mani; et alle belle gote,
indarno ripetendo il caro nome,
fa danno et onta piú che far lor puote:
straccia i capelli e sparge; e grida, come
donna talor che ’l demon rio percuote,
o come s’ode che giá a suon di corno
Menade corse, et aggirossi intorno.

159
     Or questo or quel pregando va, che porto
le sia un coltel, sí che nel cor si fera:
or correr vuol lá dove il legno in porto
dei duo signor defunti arrivato era,
e de l’uno e de l’altro cosí morto
far crudo strazio e vendetta acra e fiera:
or vuol passare il mare, e cercar tanto,
che possa al suo signor morire a canto.