Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. III, 1928 – BEIC 1739118.djvu/273


quarantesimoterzo 267


64
     Rinaldo, come accade ch’un pensiero
un altro dietro, e quello un altro mena,
si venne a ricordar del cavalliero
nel cui palagio fu la sera a cena;
che per questa cittade, a dire il vero,
avea giusta cagion di stare in pena:
e ricordossi del vaso da bere,
che mostra altrui l’error de la mogliere;

65
     e ricordossi insieme de la prova
che d’aver fatta il cavallier narrolli;
che di quanti avea esperti, uomo non trova
che bea nel vaso, e’l petto non s’immolli.
Or si pente, or tra sé dice: — E’ mi giova
ch’a tanto paragon venir non volli.
Riuscendo, accertava il creder mio;
non riuscendo, a che partito era io?

66
     Gli è questo creder mio, come io l’avessi
ben certo, e poco accrescer lo potrei:
sí che, s’al paragon mi succedessi,
poco il meglio saria ch’io ne trarrei;
ma non giá poco il mal, quando vedessi
quel di Clarice mia, ch’io non vorrei.
Metter saria mille contra uno a giuoco;
che perder si può molto, e acquistar poco. —

67
     Stando in questo pensoso il cavalliero
di Chiaramonte, e non alzando il viso,
con molta attenzïon fu da un nocchiero
che gli era incontra, riguardato fiso:
e perché di veder tutto il pensiero
che l’occupava tanto, gli fu aviso,
come uom che ben parlava et avea ardire,
a seco ragionar lo fece uscire.