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266 canto


60
     Cosí venía Rinaldo ricordando
quel che giá il suo cugin detto gli avea,
de le future cose divinando,
che spesso conferir seco solea.
E tuttavia l’umil cittá mirando:
— Come esser può ch’ancor (seco dicea)
debban cosí fiorir queste paludi
de tutti i liberali e degni studi?

61
     e crescer abbia di sí piccol borgo
ampla cittade e di sí gran bellezza?
e ciò ch’intorno è tutto stagno e gorgo,
sien lieti e pieni campi di ricchezza?
Cittá, sin ora a riverire assorgo
l’amor, la cortesia, la gentilezza
de’ tuoi signori, e gli onorati pregi
dei cavallier, dei cittadini egregi.

62
     L’ineffabil bontá del Redentore,
de’ tuoi principi il senno e la iustizia,
sempre con pace, sempre con amore
ti tenga in abondanzia et in letizia;
e ti difenda contra ogni furore
de’ tuoi nimici, e scuopra lor malizia:
del tuo contento ogni vicino arrabbi,
piú tosto che tu invidia ad alcuno abbi. —

63
     Mentre Rinaldo cosí parla, fende
con tanta fretta il suttil legno l’onde,
che con maggiore a logoro non scende
falcon ch’al grido del padron risponde.
Del destro corno il destro ramo prende
quindi il nocchiero, e mura e tetti asconde:
San Georgio a dietro, a dietro s’allontana
la torre e de la Fossa e di Gaibana.