Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. III, 1928 – BEIC 1739118.djvu/266

260 canto


36
     Io che l’uso sapea del mio palagio,
entro sicuro, e vien Melissa meco;
e madonna ritrovo a sí grande agio,
che non ha né scudier né donna seco.
I miei prieghi le espongo, indi il malvagio
stimulo inanzi del mal far le arreco:
i rubini, i diamanti e gli smeraldi,
che mosso arebbon tutti i cor piú saldi.

37
     E le dico che poco è questo dono
verso quel che sperar da me dovea:
de la commoditá poi le ragiono,
che, non v’essendo il suo marito, avea:
e le ricordo che gran tempo sono
stato suo amante, com’ella sapea;
e che l’amar mio lei con tanta fede
degno era avere al fin qualche mercede.

38
     Turbossi nel principio ella non poco,
divenne rossa, et ascoltar non volle;
ma il veder fiammeggiar poi, come fuoco,
le belle gemme, il duro cor fe’ molle:
e con parlar rispose breve e fioco,
quel che la vita a rimembrar mi tolle;
che mi compiaceria, quando credesse
ch’altra persona mai nol risapesse.

39
     Fu tal risposta un venenato telo
di che me ne senti’ l’alma traffissa:
per l’ossa andommi e per le vene un gielo;
ne le fauci restò la voce fissa.
Levando allora del suo incanto il velo,
ne la mia forma mi tornò Melissa.
Pensa di che color dovesse farsi,
ch’in tanto error da me vide trovarsi.