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188 canto


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     S’attendete, signori, al mio consiglio,
qui da man manca ha un’isola vicina,
a cui mi par ch’abbiamo a dar di piglio,
fin che passi il furor de la marina. —
Consentí il re Agramante; e di periglio
uscí, pigliando la spiaggia mancina,
che per salute de’ nocchieri giace
tra gli Afri e di Vulcan l’alta fornace.

45
     D’abitazioni è l’isoletta vòta,
piena d’umil mortelle e di ginepri,
ioconda solitudine e remota
a cervi, a daini, a capriuoli, a lepri;
e fuor ch’a piscatori, è poco nota,
ove sovente a rimondati vepri
sospendon, per seccar, l’umide reti;
dormeno intanto i pesci in mar quïeti.

46
     Quivi trovâr che s’era un altro legno,
cacciato da fortuna, giá ridutto:
il gran guerrier ch’in Sericana ha regno,
levato d’Arli, avea quivi condutto.
Con modo riverente e di sé degno
l’un re con l’altro s’abbracciò all’asciutto;
ch’erano amici, e poco inanzi furo
compagni d’arme al parigino muro.

47
     Con molto dispiacer Gradasso intese
del re Agramante le fortune avverse:
poi confortollo, e come re cortese,
con la propria persona se gli offerse:
ma che egli andasse all’infedel paese
d’Egitto, per aiuto, non sofferse.
— Che vi sia (disse) periglioso gire,
dovria Pompeio i profugi ammonire.