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prima avendo spacciato un suttil legno
ch’a vele e a remi andò battendo l’ali,
ad Agramante aviso, come il regno
patia dal re de’ Nubi oltraggi e mali.
Giorno e notte andò quel senza ritegno,
tanto che giunse ai liti provenzali;
e trovò in Arli il suo re mezzo oppresso,
che ’l campo avea di Carlo un miglio appresso.
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Sentendo il re Agramante a che periglio,
per guadagnare il regno di Pipino,
lasciava il suo, chiamar fece a consiglio
principi e re del popul saracino.
E poi ch’una o due volte girò il ciglio
quinci a Marsilio e quindi al re Sobrino,
i quai d’ogni altro fur, che vi venisse,
i duo piú antiqui e saggi, cosí disse:
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— Quantunque io sappia come mal convegna
a un capitano dir: non mel pensai,
pur lo dirò; che quando un danno vegna
da ogni discorso uman lontano assai,
a quel fallir par che sia escusa degna:
e qui si versa il caso mio; ch’errai
a lasciar d’arme l’Africa sfornita,
se da li Nubi esser dovea assalita.
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Ma chi pensato avria, fuor che Dio solo,
a cui non è cosa futura ignota,
che dovesse venir con sí gran stuolo
a farne danno gente sí remota?
tra i quali e noi giace l’instabil suolo
di quella arena ognior da’ venti mota.
Pur è venuta ad assediar Biserta,
et ha in gran parte l’Africa deserta.