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236 canto


32
     Sempre che l’inimico è piú possente,
piú chi perde accettabile ha la scusa.
Mia fé guardar dovea non altrimente
ch’una fortezza d’ogn’intorno chiusa:
cosí, con quanto senno e quanta mente
da la somma Prudenzia m’era infusa,
io mi sforzai guardarla; ma al fin vinto
da intolerando assalto, ne fui spinto. —

33
     Cosí disse Odorico, e poi soggiunse
(che saria lungo a ricontarvi il tutto)
mostrando che gran stimolo lo punse,
e non per lieve sferza s’era indutto.
Se mai per prieghi ira di cor si emunse,
s’umiltá di parlar fece mai frutto,
quivi far lo dovea; che ciò che muova
di cor durezza, ora Odorico trova.

34
     Pigliar di tanta ingiuria alta vendetta,
tra il sí Zerbino e il no resta confuso:
il vedere il demerito lo alletta
a far che sia il fellon di vita escluso;
il ricordarsi l’amicizia stretta
ch’era stata tra lor per sí lungo uso,
con l’acqua di pietá l’accesa rabbia
nel cor gli spegne, e vuol che mercé n’abbia.

35
     Mentre stava cosí Zerbino in forse
di liberare, o di menar captivo,
o pur il disleal dagli occhi tôrse
per morte, o pur tenerlo in pena vivo;
quivi rignando il palafreno corse,
che Mandricardo avea di briglia privo;
e vi portò la vecchia che vicino
a morte dianzi avea tratto Zerbino.