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quinto 85


16
     Feci col core e con l’effetto tutto
quel che far si poteva, e sallo Idio;
né con Ginevra mai potei far frutto,
ch’io le ponessi in grazia il duca mio:
e questo, che ad amar ella avea indutto
tutto il pensiero e tutto il suo disio
un gentil cavallier, bello e cortese,
venuto in Scozia di lontan paese;

17
     che con un suo fratel ben giovinetto
venne d’Italia a stare in questa corte;
si fe’ ne l’arme poi tanto perfetto,
che la Bretagna non avea il piú forte.
Il re l’amava, e ne mostrò l’effetto;
che gli donò di non picciola sorte
castella e ville e iuridizïoni,
e lo fe’ grande al par dei gran baroni.

18
     Grato era al re, piú grato era alla figlia
quel cavallier chiamato Arïodante,
per esser valoroso a maraviglia;
ma piú, ch’ella sapea che l’era amante.
Né Vesuvio, né il monte di Siciglia,
né Troia avampò mai di fiamme tante,
quante ella conoscea che per suo amore
Arïodante ardea per tutto il core.

19
     L’amar che dunque ella facea colui
con cor sincero e con perfetta fede,
fe’ che pel duca male udita fui;
né mai risposta da sperar mi diede:
anzi quanto io pregava piú per lui
e gli studiava d’impetrar mercede,
ella, biasmandol sempre e dispregiando,
se gli venía piú sempre inimicando.