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sestodecimo 361


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     Al comparir del paladin di Francia,
dan segno i Mori alle future angosce:
tremare a tutti in man vedi la lancia,
i piedi in staffa, e ne l’arcion le cosce.
Re Pulïano sol non muta guancia,
che questo esser Rinaldo non conosce;
né pensando trovar sí duro intoppo,
gli muove il destrier contra di galoppo:

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     e su la lancia nel partir si stringe,
e tutta in sé raccoglie la persona;
poi con ambo gli sproni il destrier spinge,
e le redine inanzi gli abandona.
Da l’altra parte il suo valor non finge,
e mostra in fatti quel ch’in nome suona,
quanto abbia nel giostrare e grazia et arte,
il figliuolo d’Amone, anzi di Marte.

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     Furo al segnar degli aspri colpi, pari,
che si posero i ferri ambi alla testa:
ma furo in arme et in virtú dispari,
che l’un via passa, e l’altro morto resta.
Bisognan di valor segni piú chiari,
che por con leggiadria la lancia in resta:
ma fortuna anco piú bisogna assai;
che senza, val virtú raro o non mai.

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     La buona lancia il paladin racquista,
e verso il re d’Oran ratto si spicca,
che la persona avea povera e trista
di cor, ma d’ossa e di gran polpe ricca.
Questo por tra bei colpi si può in lista,
ben ch’in fondo allo scudo gli l’appicca:
e chi non vuol lodarlo, abbialo escuso,
perché non si potea giunger piú in suso.