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296 canto


28
     In campo non aveano altri a venire,
che quei di Tremisenne e di Norizia;
né si vedea alla mostra comparire
il segno lor, né dar di sé notizia.
Non sapendo Agramante che si dire,
né che pensar di questa lor pigrizia,
uno scudiero al fin gli fu condutto
del re di Tremisen, che narrò il tutto.

29
     E gli narrò ch’Alzirdo e Manilardo
con molti altri de’ suoi giaceano al campo.
— Signor (diss’egli), il cavallier gagliardo
ch’ucciso ha i nostri, ucciso avria il tuo campo,
se fosse stato a tôrsi via piú tardo
di me, ch’a pena ancor cosí ne scampo.
Fa quel de’ cavallieri e de’ pedoni,
che ’l lupo fa di capre e di montoni. —

30
     Era venuto pochi giorni avante
nel campo del re d’Africa un signore;
né in Ponente era, né in tutto Levante,
di piú forza di lui, né di piú core.
Gli facea grande onore il re Agramante,
per esser costui figlio e successore
in Tartaria del re Agrican gagliardo:
suo nome era il feroce Mandricardo.

31
     Per molti chiari gesti era famoso,
e di sua fama tutto il mondo empía;
ma lo facea piú d’altro glorïoso,
ch’al castel de la fata di Soria
l’usbergo avea acquistato luminoso
ch’Ettor troian portò mille anni pria,
per strana e formidabile aventura,
che ’l ragionarne pur mette paura.