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canto duodecimo 263


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     Levasi un grido subito et orrendo,
che d’ogn’intorno n’ha l’aria ripiena,
come si vede il giovene, cadendo,
spicciar il sangue di sí larga vena.
La turba verso il conte vien fremendo
disordinata, e tagli e punte mena;
ma quella è piú, che con pennuti dardi
tempesta il fior dei cavallier gagliardi.

77
     Con qual rumor la setolosa frotta
correr da monti suole o da campagne,
se ’l lupo uscito di nascosa grotta,
o l’orso sceso alle minor montagne,
un tener porco preso abbia talotta,
che con grugnito e gran stridor si lagne;
con tal lo stuol barbarico era mosso
verso il conte, gridando: — Adosso, adosso! —

78
     Lance, saette e spade ebbe l’usbergo
a un tempo mille, e lo scudo altretante:
chi gli percuote con la mazza il tergo,
chi minaccia da lato, e chi davante.
Ma quel, ch’al timor mai non diede albergo,
estima la vil turba e l’arme tante,
quel che dentro alla mandra, all’aer cupo,
il numer de l’agnelle estimi il lupo.

79
     Nuda avea in man quella fulminea spada
che posti ha tanti Saracini a morte:
dunque chi vuol di quanta turba cada
tenere il conto, ha impresa dura e forte.
Rossa di sangue giá correa la strada,
capace a pena a tante genti morte;
perché né targa né capel difende
la fatal Durindana, ove discende,