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undecimo 233


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     Dal dolor vinta, or sopra il mar si lancia,
e mostra i fianchi e le scagliose schene;
or dentro vi s’attufa, e con la pancia
muove dal fondo e fa salir l’arene.
Sentendo l’acqua il cavallier di Francia,
che troppo abonda, a nuoto fuor ne viene:
lascia l’áncora fitta, e in mano prende
la fune che da l’áncora depende.

41
     E con quella ne vien nuotando in fretta
verso lo scoglio; ove fermato il piede,
tira l’áncora a sé, ch’in bocca stretta
con le due punte il brutto mostro fiede.
L’orca a seguire il canape è constretta
da quella forza ch’ogni forza eccede,
da quella forza che piú in una scossa
tira, ch’in dieci un argano far possa.

42
     Come toro salvatico ch’al corno
gittar si senta un improviso laccio,
salta di qua di lá, s’aggira intorno,
si colca e beva, e non può uscir d’impaccio;
cosí fuor del suo antico almo soggiorno
l’orca tratta per forza di quel braccio,
con mille guizzi e mille strane ruote
segue la fune, e scior non se ne puote.

43
     Di bocca il sangue in tanta copia fonde,
che questo oggi il mar Rosso si può dire,
dove in tal guisa ella percuote l’onde,
ch’insino al fondo le vedreste aprire;
et or ne bagna il cielo, e il lume asconde
del chiaro sol: tanto le fa salire.
Rimbombano al rumor ch’intorno s’ode,
le selve, i monti e le lontane prode.