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230 canto


28
     E crederò che Dio, perché vendetta
ne sia in eterno, nel profondo chiuda
del cieco abisso quella maladetta
anima, appresso al maladetto Giuda.
Ma seguitiamo il cavallier ch’in fretta
brama trovarsi all’isola d’Ebuda,
dove le belle donne e delicate
son per vivanda a un marin mostro date.

29
     Ma quanto avea piú fretta il paladino,
tanto parea che men l’avesse il vento.
Spiri o dal lato destro o dal mancino,
o ne le poppe, sempre è cosí lento,
che si può far con lui poco camino;
e rimanea talvolta in tutto spento:
soffia talor sí averso, che gli è forza
o di tornare, o d’ir girando all’orza.

30
     Fu volontá di Dio che non venisse
prima che ’l re d’Ibernia in quella parte,
acciò con piú facilitá seguisse
quel ch’udir vi farò fra poche carte.
Sopra l’isola sorti, Orlando disse
al suo nochiero: — Or qui potrai fermarte,
e’l battel darmi; che portar mi voglio
senz’altra compagnia sopra lo scoglio.

31
     E voglio la maggior gomona meco,
e l’áncora maggior ch’abbi sul legno:
io ti farò veder perché l’arreco,
se con quel mostro ad affrontar mi vegno. —
Gittar fe’ in mare il palischermo seco,
con tutto quel ch’era atto al suo disegno.
Tutte l’arme lasciò, fuor che la spada;
e vêr lo scoglio, sol, prese la strada.