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ottavo 163


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     La bella donna, di gran sonno oppressa,
incatenata fu prima che desta.
Portaro il frate incantator con essa
nel legno pien di turba afflitta e mesta.
La vela, in cima all’arbore rimessa,
rendé la nave all’isola funesta,
dove chiuser la donna in ròcca forte,
fin a quel dí ch’a lei toccò la sorte.

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     Ma poté sí, per esser tanto bella,
la fiera gente muovere a pietade,
che molti dí le differiron quella
morte, e serbârla a gran necessitade;
e fin ch’ebber di fuore altra donzella,
perdonaro all’angelica beltade.
Al mostro fu condotta finalmente,
piangendo dietro a lei tutta la gente.

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     Chi narrerá l’angoscie, i pianti, i gridi,
l’alta querela che nel ciel penètra?
maraviglia ho che non s’apriro i lidi,
quando fu posta in su la fredda pietra,
dove in catena, priva di sussidi,
morte aspettava abominosa e tetra.
Io nol dirò; che sí il dolor mi muove,
che mi sforza voltar le rime altrove,

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     e trovar versi non tanti lugúbri,
fin che ’l mio spirto stanco si rïabbia;
che non potrian li squalidi colubri,
né l’orba tigre accesa in maggior rabbia,
né ciò che da l’Atlante ai liti rubri
venenoso erra per la calda sabbia,
né veder né pensar senza cordoglio,
Angelica legata al nudo scoglio.