Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. I, 1928 – BEIC 1737380.djvu/112

106 canto


4
     Arïodante, che Ginevra pianto
avea per morto, e ’l fratel pianto avea,
il re, la corte, il popul tutto quanto:
di tal bontá, di tal valor splendea.
Adunque il peregrin mentir di quanto
dianzi di lui narrò, quivi apparea;
e fu pur ver che dal sasso marino
gittarsi in mar lo vide a capo chino.

5
     Ma (come aviene a un disperato spesso,
che da lontan brama e disia la morte,
e l’odia poi che se la vede appresso,
tanto gli pare il passo acerbo e forte)
Arïodante, poi ch’in mar fu messo,
si pentí di morire: e come forte
e come destro e piú d’ogn’altro ardito,
si messe a nuoto e ritornossi al lito;

6
     e dispregiando e nominando folle
il desir ch’ebbe di lasciar la vita,
si messe a caminar bagnato e molle,
e capitò all’ostel d’un eremita.
Quivi secretamente indugiar volle
tanto, che la novella avesse udita,
se del caso Ginevra s’allegrasse,
o pur mesta e pietosa ne restasse.

7
     Intese prima, che per gran dolore
ella era stata a rischio di morire
(la fama andò di questo in modo fuore,
che ne fu in tutta l’isola che dire):
contrario effetto a quel che per errore
credea aver visto con suo gran martire.
Intese poi, come Lurcanio avea
fatta Ginevra appresso il padre rea.