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92 iv - capitoli

     ma quelli baci ancora, a’ quai risurti
miei vital spirti son spesso da morte,
mi niega o mi dá a forza secchi e curti.
     70Le belle luci, oimè! questo è il piú forte,
si studian che di lor men fruir possa,
poi che si son di piú piacermi accorte.
     Cosí quando una e quando un’altra scossa
dá per sveller la speme di cui vivo,
75per cui morrò, se fia da me rimossa.
     O di voi ricco, donna, o di voi privo,
esser non può che piú di me non v’ami,
e me, per voi prezzar, non abbia a schivo;
     sí che pel danno mio ch’io mi richiami
80di voi non vi crediate; piú mi spiace,
che questo troppo il vostro nome infami.
     Ogni lingua di voi sera mordace,
se s’ode mai ch’un sí benigno giogo
rotto abbia o sciolto il vostro amor fugace.
     85O non legarlo o non sciòr sin al rogo
devea; ch’in ogni caso, ma pù in questo
mal dopo il fatto il consigliarsi ha luogo.
     Il pentir vostro esser devea piú presto;
e se ben d’ogni tempo, non potea
90se non molto parermi acre e molesto;
     e voi non potevate se non rea
esser d’ingratitudine, se tanta
servitú senza premio si perdea.
     Pur io non sentirei la doglia quanta
95la sento per memoria di quei frutti
ch’or mi niega d’accôr l’altiera pianta.
     L’esserne privo causa maggior lutti,
poi ch’io n’ho fatto il saggio, che non fora
s’avuto ognor n’avessi i denti asciutti.
     100D’ingrata e di crudel dar nota allora
io vi potea; d’ingrata e di crudele,
ma di piú, dar di perfida posso ora.