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78 | iv - capitoli |
VII
È cosí colmo di letizia che non può piú tacere;
ciò nondimeno non dirá mai la cagione del gran piacere che lo inebria
Forza è ch’alfin si scopra e che si veggia
il gaudio mio dianzi a gran pena ascoso,
ancor ch’io sappia che tacer si deggia,
e quanto dirlo altrui sia periglioso;
5perché sempre chi ascolta è piú proclive
ad invidiar che ad essere gioioso;
ma, come poi ch’alle calde aure estive
si risolveno e giacci e nevi alpine,
crescono i fiumi a par de le sue rive;
10ed alcun, disprezzando ogni confine,
rompe superbo li argeni ed inonda
le biade e i paschi e le cittá vicine;
cosí, quando soverchia e sovrabonda
a quanto cape e può capir il petto,
15convien che l’allegrezza si diffonda,
e faccia rider li occhi e ne l’aspetto
ir con baldanza e d’ogni nebbia mostri
l’aer del viso disgravato e netto.
Come si fan con lor mordaci rostri
20l’ingrati figli porta per uscire
de li materni viperini chiostri,
se di nascer li affretta il fier desire,
che non attendon che la madre grave
possa l’un dopo l’altro partorire;
25cosí li gaudi miei, ch’in le piú cave
parti posi di me, per tener chiusi,
niegan piú star sotto custodia e chiave.
Tentano altro camin, poi ch’io li esclusi
da quel che per la bocca, da chi viene
30dal petto, par che piúFonte/commento: Pagina:Ariosto, Ludovico – Lirica, 1924 – BEIC 1740033.djvu/372 trito s’usi.