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76 | iv - capitoli |
VI
Il parlar troppo de’ fatti altrui mosse sempre l’ira degli dèi; quale punizione questi non dovrebbero infliggere al calunniatore?
Era candido il corvo e fatto nero
meritamente fu, perché tropp’ebbe
espedita la lingua a dir il vero.
Aver taciuto Ascalafo vorrebbe,
5il testimonio che sul stigio fiume
alla madre e alla figlia udire increbbe;
ché di funeste e d’infelici piume
si ricoverse, e restò augello obsceno,
dannato sempre ad aborrir il lume,
10Por si dovrian tutte le lingue freno,
e in l’altrui fatti apprender da costoro
di spiar poco e di parlarne meno.
Questi per troppo dir puniti fôro;
né riguardò chi lor puní che fosse
15d’ogni menzogna netto il detto loro.
Se de li offesi dèi sí l’ira mosse
l’esser del vero garuli e loquaci,
che con eterna infamia ambo percosse,
qual pena, qual obrobrio a quelli audaci
20si converria, ch’altri biasmando vanno
di colpe in che si sanno esser mendaci?
O di noi piú non curano o non hanno
qua giú piú forza o che li nostri casi
quei che reggono il ciel piú poco sanno.
Che non vi sieno ancor crederei quasi,
se non che veggio pur per camin certo
l’estati e i verni andar li orti e li occasi.
Ma se vi son, com’è da lor sofferto
che lode e oltraggi, e che premi e suplici
30non sian secondo il bono e tristo merto?