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iv - capitoli 67

     Moltiplicavan le parole, e tale
140era il rumor, lo strepito, ch’uscire
se ne vedea una rissa capitale.
     Ma non li lassa il re tanto seguire,
prima il suo franco, indi il spagnuol riprende
con l’aleman del temerario ardire.
     145— Come ben fa chi sua nazion difende
da biasmo altrui — dicea, — cosí molt’erra
chi, per la sua lodar, ogn’altra offende.
     E chi vuol di voi dir che la sua terra
prevaglia a tutte l’altre è ne l’errore
150di questo inglese e il torto ha de la guerra.
     Degli altri il detto d’Obizzo è il megliore,
di sostener ch’Italia sua di loda
a nessun’altra parte è inferiore.
     Or quant’alla battaglia mai non s’oda,
155poi ch’ad Obizzo n’ho fatto promessa,
che la promessa non sia ferma e soda.
     Egli fu il primo a chiederla e concessa
a lui l’ho volontier, e non mi pento,
né meglio altrove potria averla messa. —
     160Il re fece a lor tal ragionamento,
sí per ragion, sí perché assai non fora
di dar la pugna a Carbilan contento.
     Ché, se fortuna, che temer ognora
si deve, ad Aramon volge la guancia,
165è meglio ch’un estran sia preso o mora,
     che Carbilan o di nazion di Francia
altro guerrier, per non dar la sentenza
l’inglese esser meglior de la sua lancia.
     Nel vincer non facea tal differenza;
170pur ch’un guerrier, sia di che gente voglia,
spegnesse a quell’altier tanta credenza.
     Quanto piú il re si sferza che si toglia
Carbilan da l’impresa, egli piú duro
e piú ostinato ognor piú se n’invoglia.