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60 iv - capitoli

     L’argine e ripe ed ogni opposto atterra;
pur con ingegno dal fuggir si tenne
ne l’alveo antico, dove ancor si serra;
     25che ricordar mi fa di quel che avenne
doppo la morte del famoso cive,
che, armato in Roma, ad occuparla venne.
     Allora il Tebre superò le rive,
come ha quest’altro al tramontar di questa
30stella, che in ciel santificata vive.
     Fulgure e venti allor, pioggia e tempesta
ondârno i campi; ed altri segni ancora
feron la gente timorosa e mesta,
     com’or è apparso a dimostrar quest’ora
35venuta a tramutar la cittá lieta,
le feste e canti, a lacrimar Lionora.
     Piú segno di dolor che una cometa
precorse il tristo dí; ché ’l chiaro lume
perse in gran parte il lucido pianeta.
     40Il sol, per cui convien che ’l ciel ne allume,
vidde Ferrara sconsolata e trista,
e ricognobbe il doloroso fiume;
     ch’ancor quest’onde a riguardar s’atrista
sí, ch’ei turbò la luminosa fronte,
45mostrando obscura e impalidita vista;
     le gente meste al lacrimar sí pronte,
le Eliade proprio gli parea vedere,
in ripa al fiume richiamar Fetonte.
     Né gli occhi asciutti puoté il ciel tenere
50per gran pietade, e dimostrò ben quanto
qua giú si debba ogni mortal dolere.
     Or si risforzi ogni angoscioso pianto,
che assai si chiami a paragon del male,
mai non potremo condolerci tanto;
     55creschino i fiumi al lacrimar mortale,
crollino i boschi al suspirar frequente,
e sia il dolor per tutto il mondo eguale.