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ii - sonetti 45

XXXVI

Per l’elezione di Giulio II.

     L’arbor ch’al viver prisco porse aita,
poi si converse a miglior tempo in oro,
or s’ha produtto un sí soave alloro,
4che la fragranza in fino al ciel n’è gita.
     O fra’ mortali e fra li dèi gradita
felice pianta! O vivo e bel tesoro!
Per te s’alunga il seme di coloro
8che per cosa divina il mondo adita.
     Quinci i rami gentil, quinci i rampolli
ch’empion di gloria e di trionfo il mondo,
11e fan Roma superba e li suoi colli.
     Godi, sacra colonna, e scorgi a tondo;
alta sei d’ogni parte e senza crolli,
14né del tuo stato mai fu il piú giocondo.

XXXVII

In morte dell’amico e cugino Pandolfo Ariosti.

     Lassi, piangiamo, oimè! ché l’empia Morte
n’ha crudelmente svelta una piú santa,
una piú amica, una piú dolce pianta
4che mai nascesse, ahi nostra trista sorte!
     Ahi! del ciel dure leggi, inique e torte
per cui sí verde in sul fiorir si schianta
sí gentil ramo; e ben preda altra e tanta
8non rest’all’ore sí fugaci e corte.
     Or poi che ’l nostro secretario antico
in cielo ha l’alma e le membra sotterra,
11Morte, io non temo piú le tue fere arme.
     Per costui m’era ’l viver fatto amico,
per costui sol temeo l’aspra tua guerra;
14or che tolto me l’hai, che puo’ tu farme?