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ii - sonetti | 43 |
XXXII
Come cangiati i suoi giorni lieti!
Lasso! i miei giorni lieti e le tranquille
notti che i sonni giá mi fêr soavi,
quando né amor né sorte m’eran gravi,
4né mi cadean da li occhi ardenti stille;
come, perch’io continuo da le squille
all’alba il seno lacrimando lavi,
son vòlti a stato, onde ’l cor par s’aggravi
8del suo vivo calor, che piú sfaville!
O folle cupidigia, o mai, no, al merto
pregiata libertá, senza di cui
11l’oro e la vita ha ogni suo pregio incerto;
come beato e miser fate altrui!
E l’un de l’altro è morte e caso certo;
14or ché, piangendo, penso a quel ch’io fui?
XXXIII
Avvinto da tanti pregi, brama di esser sempre con lei.
Se senza fin son le cagion ch’io v’ami,
e sempre di voi pensi e in voi sospiri,
come volete, oimè! ch’io mi ritiri,
4e senza fin d’esser con voi non brami?
Son la fronte, le ciglia e quei legami
del mio cor, aurei crini, e quei zaffiri
de’ bei vostri occhi, e lor soavi giri,
8donna, per trarmi a voi tutti ésca ed ami.
Son di coralli, perle, avorio e latte,
di che fûr labra, denti, seno e gola,
11alle forme degli angeli ritratte;
son del gir, de lo star, d’ogni parola,
d’ogni sguardo soave, insomma, fatte
14le reti, onde a intricarsi il mio cor vola.