Pagina:Ariosto, Ludovico – Lirica, 1924 – BEIC 1740033.djvu/47


ii - sonetti 41

XXVIII

Dove riporre la chioma tagliata alla sua donna?

     Qual avorio di Gange, o qual di Paro
candido marmo, o qual ebano oscuro,
qual fin argento, qual oro sí puro,
4qual lucid’ambra, o qual cristal sí chiaro;
     qual scultor, qual artefice sí raro
faranno un vaso alle chiome che fûro
de la mia donna, ove riposte, il duro
8separarsi da lei lor non sia amaro?
     Ché, ripensando all’alta fronte, a quelle
vermiglie guance, alli occhi, alle divine
11rosate labra e all’altre parti belle,
     non potrian, se ben fusson, come il crine
di Beronice assunto fra le stelle,
14riconsolarsi, e porre al duol mai fine.

XXIX

Al ricordo della chioma recisa, avvampa d’ira.

     Qual volta io penso a quelle fila d’oro,
che ’l dì mille vi penso e mille volte,
piú per error da l’altro bel tesoro
4che per bisogno e bon iudicio tolte,
     di sdegno e d’ira avampo e mi scoloro,
e il viso ad or ad or e il sen di molte
lacrime bagno e di desir mi moro
8di vendicar de l’empie mani e stolte.
     Ch’elle non sieno, Amor, da te punite,
ti torna a biasmo; Bacco al re de’ traci
11fe’ costar cara ogni sua tronca vite;
     e tu, maggior di lui, da queste audaci
le tue cose piú belle e piú gradite
14levar ti vedi, e tel comporti e taci!