Pagina:Ariosto, Ludovico – Lirica, 1924 – BEIC 1740033.djvu/312

306 appendice seconda

VI

Al Sonno perché dia un po’ di requie al suo cuore addolorato.

     O Sonno, or che la notte umida, ombrosa
ripiega l’aureo velo e ’l gelo scote,
Vener guida i suoi balli, e ’n dolci rote
all’Euro inchina ’n ciel l’Orsa amorosa;
     l’ali tue sovra me dispiega e posa,
rendi ’l bel viso e le suavi note
al cor, che, privo, piú soffrir non puote,
del suo bel Sol, vita cosí dogliosa.
     Ben ristorar potrá d’aspra partita
un lieve e dolce sogno i gravi danni,
e ’n sembianza di morte a me dar vita.
     Ché se, presente, i miei non degni affanni
sdegna crudel, pur ne promette aita
qualor apre ver’ me pietosa i vanni.

VII

Invano cerca il suo Sole!

     Qui, dove Arno ’l mio pianto amaro accoglie,
e con l’acque sue dolci il volge al mare,
quando s’asconde l’altro, e quando appare,
cerco ’l mio Sol, ch’a questo il pregio toglie.
     Ma, lasso, in vano con ardenti voglie
bramo chi le mie notti apra e rischiare;
che ’l vivo Sol, ch’ai mondo non ha pare,
altrove i raggi suoi spiega e raccoglie.
     O Clizia, tu quanto lodar ti puoi
del gran pianeta, a cui sempre ti giri,
se ciò che involò notte, il dí ti rende!
     Ma io quantunque o giorni od ombre miri,
mio Sol non vedo; e ’l bel foco m’accende
che mi lassar partendo i raggi suoi.