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liriche apocrife 291

Ahi, figliuoi di Latona, un’altra Tebe,
altra Niobe torna
a farvi in nube giú scender dal cielo,
contra piú altiero error, piú vana plebe;
50fosche alte ombre, aspro sdegno, e ’n strana tempra,
se quest’in ciel con noi odio s’insempra!
     Ma insemprisi con voi, che da la rete
de’ primi fondatori in tanto orgoglio
sete venuti, che lá in Campidoglio
55voi stessi in terra dèi fatti v’avete;
voi vi cangiate il ciel, voi vel vendete,
ponendo vostra sede in aquilone.
Sol, tu n’hai ben ragione,
se avvolto in nube giú dal ciel discendi;
60prendi pur l’arco, irato Cinzio, prendi!
Questi sono i giganti e quest’è Fiegra;
qui monte Pelio Pindo alto sostiene!
Ah ruina del ciel, Bariona antico!
La gente mortal egra
65sen va con gli occhi chiusi, e colpe e pene...
Or non piú... No... Io so ben quel ch’io dico.
Intendami chi può, ché m’intend’io,
S’altri non vuol veder, vedil tu, Iddio!
     Tu, che novellamente un simulacro
70di quell’altro Pompeio a quest’inferma
madre, che non ha piú dove star ferma,
colonna sei in quest’ordin suo sacro,
odi gridar da lunge afflitto e macro
lo sposo suo: — Uscite fuor del tempio,
75voi che vendete! Ahi, empio,
che vendi le colombe, il tempio sgombra! —
Odi quest’altra, cui vergogna ingombra
d’esser scoperta; e grida: — O miei dolori!
Negra e formosa fui; giunta è la sferza,
80perch’io nuda men vo, squallida e fosca!
Spengansi sí alti errori,
alta colonna mia, innanzi terza;
l’aer, tu ’l vedi, e ’l mondo e ’l cielo infosca,
ch’un de’ dui, qual si sia, altri ’l distingua;
85temo e forse il maggior lume s’estingua.—