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282 appendice prima

27
     Sol una lode in lei si può chiamare
quanto altrove è giá mai sparso di bene.
Ella è sola Fenice, e sola pare
di questo secol nostro unica spene.
Ella sola tra noi si vede alzare,
ove non puonno andar cose terrene.
Ella quanto può dar benigna sorte,
sola nel mondo ha da le stelle in sorte.
28
     Beltá dunque divina e senza pare
del mio bel Sol, che sovra ogn’altra monti,
allora io cesserò di non te amare,
quando al contrario correranno i fonti;
ma fin che l’acque avranno il corso al mare,
o fin che staran saldi i scogli e i monti,
fará la molta fede in che mi fermo,
ch’io starò nel desir sempre piú fermo.
29
     Quanto devete voi, ricche ed adorne,
aventurose, liete, alme contrade,
dove tanto di ben par che soggiorne,
quanto non vide mai la prisca etade;
quanto devete al ciel, che par che v’orne
con la maggior de le sue grazie rade;
quanto devete alla mia dolce fiamma,
che di chiara vertú tutte v’infiamma!
30
     Ma che dich’io? Non pur in fiamma dove
alberga il mio bel Sol, l’alma mia dea;
anzi dovunque i cari passi move,
de’ mill’alti desir vaghezza crea;
e dal parlare e da begli occhi piove
vertú che col mirar gli uomini bea.
Beato chi l’ascolta, e chi la mira;
e piú beato chi per lei sospira.