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liriche dubbie 279

15
     Dolce e lieve mi fia l’uscir di vita,
per gir portando al ciel il suo bel nome;
cosí s’essalterá quella infinita
beltá ch’or vorrei, ma non so come;
cosí la lode fia degna e gradita
del bel viso, de li occhi e de le chiome;
fra tanto, s’il mio dir sará imperfetto,
merta la sua pietá questo difetto.
16
     Chi vuol veder quantunque puonno i cieli,
con li elementi e la natura e l’arte;
chi vuol veder quanto di bel si celi
raccolto in un fra le bellezze sparte;
chi vuol veder come s’adombra e veli
ogni luce, e ogni bel vada in disparte;
venga a mirar costei, che sola altrove
par al suo valor par che non trove.
17
     Non si può, donne care, il piú mostrarvi
de le sue lode, a cui nulla s’agguaglia;
tutto quel che di lei sappia contarvi,
e ciò c’ha di mortal, è il men che vaglia;
che, s’il piú, ch’è divin, ho da narrarvi,
uopo sará che troppo in alto saglia;
perché la parte ch’al divin ascende
tanto si vede men quanto piú splende.
18
     Deh, perché a dir di lei mi spigni, Amore,
se col mio dir l’offendo e s’io vaneggio?
s’io pur non so mostrar, né posso, fuore,
quello che dentro col pensier io veggio?
se non si può veder questo mio core,
ove tu la sculpisti, ov’ella ha ’l seggio?
Salvo se forsi a dimostrar mi vale
ch’a sue bellezze è la mia fede uguale.