Pagina:Ariosto, Ludovico – Lirica, 1924 – BEIC 1740033.djvu/28

22 i - canzoni

tenesti di Namorse
130meco il scettro ducal di lá da’ monti;
se ben tua bella mano il freno torse
al paese gentil ch’Apenin fende,
e l’Alpe e il mar diffende.
Né tanto val ch’a questo pregio monti
135che ’l sacro onor de l’erudite fronti,
quel tósco in terra e in ciel amato Lauro
socer ti fu, le cui mediche fronde
spesso alle piaghe, donde
Italia morí poi, furon ristauro;
140che fece all’Indo e al Mauro
sentir l’odor de’ suoi rami soavi;
onde pendean le chiavi
che tenean chiuso il tempio de le guerre,
che poi fu aperto, e non è piú chi ’l serre.


     145Non poca gloria è che cognata e figlia
il Leon beatissimo ti dica,
che fa l’Asia e l’antica
Babilonia tremar, sempre che rugge;
e che giá l’Afro in l’Etiopia aprica
150 col gregge e con la pallida famiglia
di passar si consiglia;
e forse Arabia e tutto Egitto fugge
verso ove il Nilo al gran cader remugge.
Ma da corone e manti e scettri e seggi,
155per stretta affinitá, luce non hai
da sperar che li rai
e ’l chiaro sol di tua virtú pareggi;
sol perché non vaneggi
drieto al desir, che come serpe annoda,
160ti guadagni la loda
che ’l patre e li avi e’ tuoi maggiori invitti
si guadagnâr con l’arme ai gran conflitti.