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liriche dubbie | 265 |
che ’n tutto privo di veder son io
quel dolce ben che sol veder disio.
Ahi, possanza d’Amor, quanto sei forte
che fai gustar l’inferno, anzi la morte!
V
Che posso sperare?
Com’avrò dunque il frutto
del seme sparto, Amor, se gelosia
disperge il fior de la speranza mia?
Deh, vi fusse sí nota la mia fede,
Madonna, come a me vostra bellezza,
e pietá fusse in voi quanto in me doglia,
ch’io giurerei d’aver quella merzede,
che la vostra durezza
e non mia colpa vuol che mi si toglia.
Cosí si cangi in voi questa ria voglia,
come io sol porto in core
foco del vostro amore.
VI
Con quanta pena m’allontano da voi!
Deh, se sempre vi sia piatoso Amore,
donna gentil, né mai vostra beltate
sia vinta da l’etate;
di me vi caglia e del mio gran dolore.
Fortuna, ch’al mio mal sempr’è sí presta,
per dilungarmi dal maggior mio bene,
m’astringe (ahi lasso!) a far da voi partita,
e la doglia è infinita;
ch’io parto, e col partir parte la spene
d’aver mai, senza voi, tranquillo il core.
Mentre con voi m’è stato il ciel cortese
son visso in pace; che ’l mirarvi solo