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254 appendice prima

XVIII

Non creda che abbia finito di dire tutte le sue magagne

     Cosmico, non pensar per tuo conforto
che gionto sia il mio legno a meza via
per l’ampio mar de la tua vita ria,
ch’io non ho ancor la prora fuor del porto.
     Io non ho ditto como fusti accorto
che, fingendo saper nicromanzia,
venisti all’atto de la sodomia,
facendo mezo la testa di un morto.
     Quel poco cauto e simplice gargione,
che disiava del futuro intendere,
seppe alla fin come un crister si pone.
     Qui tua malignitá si pò comprendere,
che non contento offender le persone
vive, volesti ancor li morti offendere.
                    Verá teco a contendere
quella testa al gran di gridando forte:
— Costui peccar mi fe’ dopo la morte! —

XIX

Vuole impiccarsi per disperazione? Ebbene, stará zitto.

     Cosmico, intendo che tu vòi te stesso
impicar per la gola. Ah poveretto,
se non al corpo, al spirto abbi rispetto,
ché a chi se occide il ciel non è concesso!
     Se a tal disperazion tu ti sei messo
pel scriver mio, no; ch’io te prometto
da qui inanti non scriverti sonetto,
ben che a molti il contrario abbia promesso.
     Ma che t’ho io però scritto, che tu vogli
sí disperane? Io scrissi, como è vero,
che fratricida sei, che gli altar spogli,