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248 appendice prima

     Questo conseglio ogni om saggio m’ha dato,
ch’io non ti scusi, perché ’gli è un decreto,
che chi scusa un scelesto è un scelerato.
     Se advien che in palese oda o in secreto
dir di te mal(e) starò muto da un lato;
ma el se dice: «L’aferma un che stia quieto!».
                    Or ecco quel ch’io mieto
del mio tacer; i’ veggio ch’io t’offendo,
e un ribaldo mi fo s’io ti difendo.
     Donque dir male intendo.
Tu sai quel ch’io vuo’ dir; non te sia a noia:
tu tien le forche in tempo, e ingordo il boia.

IX

Badi bene, ché non potrá piú uscire né di giorno né di notte.

     Parmi veder(e) che in ordine si metta
e giá piena di squadre alla pianura
un capitan che poco di te cura
perché la sua conosce e la tua setta.
     Teco è una gente a chi ferir diletta
da traditor di sotto alla Centura,
ruffiani, baratier(e u)na turba (onta e) obscura,
ch’al fornel soffia e l’or indarno aspetta.
     Ma il tuo nimico Ripa ha in compagnia
teologi, filosofi e legisti,
e quei che di Parnaso san la via.
     Non è alcun di costor, se gli hai ben visti,
ch’a superar la morte apto non sia,
non il tuo vil Galluppi; e mal provisti,
                    male consuluisti.
Tu te pensasti per uscir di notte,
vespertil, non aver da gli occel botte.
     L’ale te fien sí rotte
pria ch’alia buca tua facci ritorno,
che ascoso tu stara’ la notte e ’l giorno.