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liriche dubbie 239

60adornino le mandre, e alli alti abeti
vaghi suspendin le zampogne e li archi,
e di teneri agnelli sacrificio
ti facciano con priego e voce umile,
ch’all’estivo solsticio
65nel tuo gonfio ondeggiar li argini varchi,
perché all’usato ovile,
quando ha men forza il sole,
finché ritorni aprile,
possano starsi, e poi tornarsen lieti
70alle campagne aperte e ameni parchi?
O re de’ fiumi, in queste piagge sole
odi le mie parole. —


Cosí diceva, e tra verdi arbuscelli
giacea tra l’erbe la mia Mincia all’ombra,
75qual chi di dolce sonno l’aura ingombra,
col murmurar dei limpidi ruscelli.
Sparsi le aveva Zefiro i capelli
per quel candido collo e per la fronte;
e tremar si vedean suavemente
80le marmoree mammelle entr’al bel velo,
da arder d’amor cor freddi, aspri e selvaggi;
quando, svegliata, al cielo
volse í begli occhi con splendor sí ardente,
che diér lume i bei raggi
85u’ non passava il sole,
lá ne’ piú folli faggi;
e, sospirando, verso l’orizonte
mandò pur fuor quella voce dolente:
— Ahi! dove sei ascoso, o almo Sole,
90da queste piagge sole? —


Ahi! dove sei ascoso, o almo Sole,
che ’l perso gregge a’ tuoi smarriti rai
sen va gridando in tenebrosi guai?
Ahi! dove sei ascoso, o almo Sole?
95E con le chiome sparse oggi si duole
la tua Tarpeia, e, avolta in negra gonna,
con quegli occhi di foco i sette colli