Pagina:Ariosto, Ludovico – Lirica, 1924 – BEIC 1740033.djvu/244

238 appendice prima

tra’ bei colli di Menalo e Liceo;
e dicea con dolore acerbo e reo:
— O Eridano mio, li nostri armenti
25non han piú, né li tuoi, sicuro un loco;
ché giú da li alti monti è giá venuto
chi accende fiamme in le tue mandre e fura;
e, per gridare aiuto,
è de’ nostri pastori ognun giá roco.
30Deh! se giá sepultura
fusti al fígliuol del Sole,
allor ch’ebbe paura
il mondo andarne tutto in fiamme ardenti,
smorza con l’acque tue quest’altro foco.
35O re de’ fiumi, in queste piagge sole
odi le mie parole.


Ecco, tra’ nostri pascoli discesi
fieri apri, aspri orsi, e per deserte rupi
la notte scender ululando lupi,
40che versan li occhi di spavento accesi;
anzi (chi fia che ’l creda?) i’ gli ho giá intesi
con voce umana orribile chiamarsi;
e menzogna non è ch’in lor sian l’alme
de’ ladron che son morti in queste selve;
45ed odonsi al silenzio de la luna
muggiar piú strane belve,
che né al fuggir né al star l’animo valme.
Quando fia mai, Fortuna,
che veggia, allor che ’l sole
50calando l’aere imbruna,
le pecorelle mie la sete trarsi
su queste rive, e con l’usate salme
tornarsi a casa; e ’n queste piagge sole
s’odan le mie parole?


     55Quando fia mai che ’l bel volto di tauro,
o re de’ fiumi, le tue amate ninfe
ti spargano di latte e chiare linfe,
coronando di fior le corna d’auro;
e i tuoi pastor di mirto e verde lauro