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v - egloghe | 137 |
tirsi
Sarebbe stato, appresso il caso forte
del iusto Alfenio, e quella orrenda e vasta
ruina che traea con la sua morte,
235gran duol veder che la sua donna casta,
saggia, bella, cortese e pellegrina,
in stato vedovil fusse rimasta.
Io me trovai dove in dui rami inclina
il destro corno Gridano e si dole
240che tanto ancor sia lungi alla marina.
Godease la lucertola giá al sole,
e’ pastorelli in le tepide rive
ivan cercando le prime viole;
quando in manere accortamente schive
245giunse Licoria in mezo onesta schiera
di bellissime donne, anzi pur dive;
dove sposolla Alfenio, ove l’altèra,
pomposa e mai non più veduta festa
il padre celebrò, ch’ancor vivo era.
250Io vidi tutte l’altre, e vidi questa,
or sole ad una ad una e quando in coro
e quando in una e quando in altra vesta.
Quale è il peltro all’argento, il rame all’oro,
qual campestre papavero alla rosa,
255qual scialbo salce al sempre verde alloro;
tale era ogn’altra alla novella sposa,
gli occhi di tutti in lei stavano intenti
per mirarla obliando ogn’altra cosa.
Quivi di Ausonia tutta i piú eccellenti
260pastori eran; quivi era il fior raccolto
de le nostrali e de l’estrane genti.
Tutti la singular grazia del volto,
le liggiadre fattezze, il bel simbiante
e quel celeste andar laudavan molto.
265Ma chi noticia avea di lei piú inante,
extollea piú l’angelica beltade
de l’altissimo ingegno e l’opre sante.