Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
134 | v - egloghe |
a cui di sua ricchezza non increbbe,
e con publica invidia odi parlarne,
ma ’l fine ara ch’a sua vita si debbe.
Spero veder la sua putida carne
140pascer i lupi, e l’importuni augelli
gracchiarli intorno, e scherno e stracio farne.
tirsi
Come si son cosí scoperti, s’elli
non eran piú? Pere’ han tardato farlo,
s’aveano ognora i comodi sí belli?
melibeo
145Fereo fu come il sorco o come il tarlo,
che nascoso rodendo fa sentirse
da chi non avea cura di trovarlo.
Tacendo ne potea libero girse,
ma’ l timor ch’egli avea d’esser scoperto
150fu tanto ch’egli stesso andò a scoprirse;
e rende a’ suoi seguaci or questo merto,
che tratti gli ha come pecore al chiuso,
e poi la notte al lupo ha l’uscio aperto.
Né meno ancor fu dal timor confuso
155quantunque volte per conchiuder venne
con l’opra quel ch’avea il pensier conchiuso;
onde sin qui tra ferro e tosco indenne
è giunto Alfenio, mercé quel vil core
che la man pronta sul ferir ritenne.
160Siamo adunque obrigati a quel timore
che dal ferro difese e dal veneno
la nostra guardia e ’l nostro almo pastore.
Come è nostro pensier ch’ora abbia fieno
e stalla il gregge, ora salubri paschi,
165e quando fiume o canal d’acqua pieno,
cosí gli è cura sua che non si caschi
in peste, in guerra, in carestia, che ’l grande
del minor le fatiche non intaschi.