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iv - capitoli 123

     Fera non è che quivi intorno giri,
che non sappi ’l mio stato e l’esser mio,
l’angustie, le fatiche e li martiri.
     O cieli, o fato, o destin aspro e rio
35sotto cui nacqui; o dispietata stella,
com’ognor sei contraria al mio disio!
     O Fortuna perversa, iniqua e fella;
o Amor crudel e d’ogni mal radice,
ben stolto è chi dá orecchie a tua favella!
     40Tu dimostrasti farmi il piú felice
che mai si ritrovasse tra li amanti,
per farmi po’ in un punto il piú infelice.
     Non son nel regno tuo perle o diamanti
che non sian pieni di pungenti spine,
45date per premio di sospiri e pianti.
     Qual lingua potria dir mai le ruine
che per te giá son state e quante gente
per tua cagion son giunte a miser fine?
     Per te si ritrovò Troia dolente;
50per te cangiossi Dafne in verde alloro,
de la cui doglia ancor Febo ne sente;
     per te Piramo e Tisbe sotto ’l moro
con le sue proprie man si diêr la morte;
per te Pasife si congiunse al toro;
     55per te Dido, costante, ardita e forte,
passossi ’l petto nel partir di Enea;
per te Leandro giunse a trista sorte;
     per te la cruda e rigida Medea
occise il suo fratel, ed altri mille
60per te sentirno pena acerba e rea.
     Non escon d’Etna fuor tante faville
quanti son morti per tuo mal governo,
né dá tant’erbe aprile a prati e ville.
     11tuo non è giá regno, ma uno inferno,
65ove sempre si piange e si sospira,
ove si vive con affanno eterno.