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122 | iv - capitoli |
XXVI
Amore, che tante vittime ha fatte, lo ha reso ormai
il piú infelice degli amanti.
Or che la terra di bei fiori è piena,
e che gli augelli van cantando a volo,
il mar s’acquieta e l’aria s’asserena;
io, miser!piango in questi boschi solo,
5e notte e giorno e dal mattino a sera,
e la mia vita pasco sol di duolo.
Per me non è né mai fu primavera,
ma nebbia, pioggia, pianto, ira e dolore,
dopo ch’io ’ntrai ne l’amorosa schiera.
10Non so se palesar ancor l’ardore
debba o tenerlo pur nel petto ascoso,
per non far crescer sdegno al mio signore;
ma giá drento e di fuor ha tanto roso
la fiamma che tutt’ardo e piú non posso
15trovar al mio languir pace o riposo.
Piú non ho sangue in vena, e meno in osso
medolla alcuna, né color in volto;
tanto fortuna e ’l ciel m’hanno percosso.
Però col mio parlar a voi mi volto,
20fiori, erbe, fronde, selve, boschi e sassi,
poich’ogni altro auditor Amor m’ha tolto.
Voi testimoni séète quanti passi
errando feci in queste vostre rive
coi piedi stanchi, tormentati e lassi.
25Fiumi, torrenti, e voi, fontane vive,
sapete le mie pene, stenti e guai,
e quant’umor dagli occhi miei derive.
E tu, soave vento, che ne vai
per queste fronde, sai quanti sospiri
30e quanti gridi verso il ciel mandai.