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iv - capitoli 103

XVI

La piaga d’amore lo strazia tanto, che neppure lo spettacolo orribile d’un campo di battaglia, ancora coperto di morti e feriti, riesce a fargli dimenticare il suo tormento.

     O vero o falso che la fama suone,
io odo dir che l’orso ciò che truova,
quando è ferito, in la piaga si pone,
     or un’erba or un’altra, e talor prova
5e stecchi e spini e sassi ed acqua e terra,
che affligon sempre e nulla mai gli giova.
     Vuol pace ed egli sol si fa la guerra,
cerca da sé scacciar l’aspro martire,
ed egli è quel che se lo chiude e serra,
     10Ch’io sia simile a lui ben posso dire,
ché, poi ell’Amor ferimmi, mai non cesso
a nuovi impiastri le mie piaghe aprire,
     or a ferro or a foco; ed avien spesso
che, cercandovi por chi mi dia aita,
15mortifero venen dentro v’ho messo.
     Io vòlsi al fin provar se la partita,
se ’l star da le repulse e sdegni absente
potessi risanar la mia ferita,
     quando provato avea ch’era possente
o trarmi ad irreparabile mina
a voi senza mercé l’esser presente.
     Ché, s’un contrario all’altro è medicina,
non so perché da l’un pigliando forza,
per l’altro la mia doglia non dechina.
     25Piglia forza da l’uno e non s’ammorza
per l’altro giá; né giá si minuisce,
anzi piú per l’absenza si rinforza.
     Io solea dir fra me: — Dove gioisce
felice alcuno in riso, in festa, in gioco,
30non sto bene io, che Amor qui si notrisce. —