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98 | iv - capitoli |
XIV
Quanto grave il peso che la sua stella o il suo destino gli hanno imposto!
Di sí calloso dosso e sí robusto
non ha né dromedario né elefante
l’odorato Indo o l’Etiope adusto;
che possa star, non che mutar le piante,
5se raddoppiata gli è la soma, poi
che l’ha qual può patir, né può piú inante.
Non va legno da Gade ai liti eoi,
che di quanto portar possa non abbia
prescritti a punto li termini suoi.
10Se stivato di merce anco di sabbia
piú si rigrava e piú, si caccia al fondo,
tal che antenna non appar, né gabbia.
Non è edificio né cosa altra al mondo
fatta per sostentar che non roine,
15quando soperchia le sue forze il pondo.
Non val corno né acciai’ di tempre fine
all’arco, e sia ancor quel ch’uccise Nesso,
che non si rompa a tirar senza fine.
Ahi lasso! non è Atlante sídefesso
20dal ciel, Ischia a Tifeo non è sí grave,
non è sotto Etna Encelado sí oppresso,
come mi preme il gran peso che m’ave
dato a portar mia stella o mio destino,
e che a principio sí m’era soave.
25Ma poi ch’io fui con quel dritto a camino,
l’accrebbe ad ogni passo e l’accresce anco,
tal ch’io ne vo non pur incurvo e chino,
non pur io me ne sento afflitto e stanco,
ma, se di piú sol una dramma leve
30giunta mi fia, verrò subito a manco.